La serie Petra, coprodotta da Sky e Cattleya dal 2020, può essere letta come un esempio di grande incontro transculturale, che fa dialogare le tradizioni italiane e spagnole del Noir Mediterraneo tra loro e con il modello del Nordic Noir, soprattutto nello stile visivo desaturato e nel trattamento del personaggio femminile: una donna testarda, rude e anticonvenzionale, sola per scelta e felice di esserlo, con un rapporto libero nei confronti della propria sessualità.
A rappresentare uno stimolante facilitatore di dialogo transculturale è stato proprio il personaggio di Petra, per le sue evidenti caratteristiche che rientrano nel trend reso recentemente così popolare dal Nordic Noir: il racconto di donne investigatrici indipendenti, che fanno il lavoro che amano, che si rifiutano di adeguarsi agli stereotipi sociali, che scelgono la loro vita. “Rispetto ai personaggi femminili, se ci sono stati degli apripista”, commenta Tognazzi, “sono state le serie, soprattutto all’estero, ma se ci pensiamo anche da noi, nel crime e nella tv generalista, non certo nel cinema. È come se la serialità avesse aperto un capitolo di protagoniste donne, tante, molto più libere anticonvenzionali politicamente scorrette, e molte di queste nel crime”.
Gli sceneggiatori raccontano di come la scrittrice Alicia Giménez Bartlett abbia descritto Petra come “archetipo di un momento della vita di una donna”: come tante altre protagoniste del crime europeo contemporaneo, Petra è una donna colta “nell’arco di una rivoluzione” interiore, e per questo particolarmente problematica, dura, diffidente, per certi aspetti solitaria. La forza straordinaria di questi personaggi sta nel fatto che, se vengono colti e rappresentati in tutta la loro complessità, possono sganciarsi dalle coordinate spazio-temporali di origine, per poi però riuscire di nuovo a funzionare da ‘mediatori’ e chiavi d’accesso fondamentali per poter entrare dentro nuove dimensioni spazio-temporali. Quello che è importante mantenere è il racconto del personaggio nel territorio, non in quel preciso territorio. Concludono gli sceneggiatori: “La scommessa vinta è stata quella di aver restituito un clima. […] L’identità di quel personaggio ha vinto sui luoghi”.
Va inoltre aggiunto che la subordinazione del luogo all’identità dei personaggi e alle loro relazioni è un elemento di poetica esplicitamente rivendicato da Giménez Bartlett:
Quando scrivo romanzi polizieschi il luogo è funzionale ai personaggi. A seconda del quartiere in cui accadono i fatti, bisogna considerare le caratteristiche sociali di quel quartiere. […] Infatti, quando si girò la serie Petra Delicado per la televisione, l’azione venne stata trasferita a Madrid e gli sceneggiatori hanno dovuto cercare delle corrispondenze fisiche molto esatte per non alterare il senso dell’azione. Mi documento relativamente poco sui luoghi. Non faccio come quegli scrittori che iniziano i loro romanzi in maniera tale che puoi andare a visitare i luoghi di cui scrivono. Per esempio, quando mi serve un luogo che non esiste lo creo, lo colloco, e basta. E se qualcuno dei miei lettori va a cercare questa libreria o questo bar specifico, probabilmente resterà deluso. Sono assolutamente funzionale nella localizzazione, prima viene la storia, e dopo la realtà. Ricorro all’immaginazione molto frequentemente. Ho una memoria visiva disastrosa. […] Quello che per me funziona davvero molto bene è la memoria uditiva. Ricordo molto bene le frasi che dice la gente il tono di voce. Credo sia per questo che mi piace molto scrivere dialoghi e invece detesto le descrizioni. Preferisco non essere specifica rispetto ai luoghi. […] Preferisco le descrizioni impressioniste, uno o due tratti. Credo che questo sia uno dei cambiamenti più innovatori del romanzo moderno rispetto al romanzo ottocentesco, che riproduceva con un livello di dettaglio abbastanza esasperante case e paesaggi.
Il personaggio di Petra, per come nasce e come viene trasposto, presenta forti elementi distintivi e di problematizzazione rispetto ai modelli nordici, che si esprimono sia attraverso la chiave ironica, fondamentale nei romanzi come nella serie italiana, che attraverso la relazione con il personaggio del viceispettore Fermín Garzón (Antonio Monte nell’adattamento italiano): è principalmente attraverso questa relazione, infatti, che percepiamo le “anomalie” e i “difetti” di Petra, ed è sempre attraverso la relazione che tali anomalie vengono progressivamente messe in una diversa prospettiva, e che anche la presunta “normalità” di Garzón/Monte viene messa in discussione.
Riteniamo dunque che romanzi e serie siano accomunati da un’impostazione polifonica, nel senso bachtiniano del termine (Bachtin 1963), tale per cui le identità si costruiscono e ricostruiscono solo in relazione allo sguardo dell’altro e nella relazione con l’altro. Il dialogo tra “voci” e “punti di vista” diversi è prima di tutto fine, piuttosto che mezzo, e non avviene solo tra i personaggi, ma internamente alla coscienza di ciascun personaggio.
Gli sceneggiatori dichiarano di aver in parte attenuato lo spirito femminista del primo romanzo, Riti di more (1996), nella misura in cui la storia è stata trasposta in un contesto, quello contemporaneo, più avanzato su temi come, per esempio, la presenza delle donne in polizia anche in posizioni di potere. E in effetti, nel primo romanzo della serie, in un passaggio rimosso dall’adattamento televisivo italiano, Petra esperisce direttamente l’importanza di trovarsi nelle condizioni di esercitare il potere di ribaltare a proprio vantaggio quelle convenzioni sociali che non può sopprimere: “La diagnosi di Garzón era esatta: approfittavo del fatto di essere donna. E la cornice era già bell’e pronta: pregiudizi, convenzioni… per ribaltare la scena bastava un po’ di potere. Ed era questo che di solito mancava, quel pizzico di potere in mani femminili. Ma io ora ce l’avevo” (p. 100).
Quelle situazioni a cui Petra fa riferimento con l’espressione “approfittarsi del fatto di essere una donna” sono, sostanzialmente, le situazioni in cui, interrogando i sospettati delle violenze sessuali su cui sta indagando, ribalta le aspettative e assume un ruolo di controllo e un atteggiamento di prevaricazione, se non di aperta e dura umiliazione.
In molti altri casi, è nella sua relazione con Garzón/Monte che si attua l’inversione dei tratti maschili e femminili, e questa inversione dei ruoli di genere e delle aspettative a essi associate informa l’intero romanzo fin dall’interrogatorio alla prima vittima di violenza sessuale, che Petra affronta con freddezza e disagio, e che il vice invece tratta con empatia e umanità.
La riflessione ironica e critica sui tratti identitari continua a muoversi tra lo smascheramento dello stereotipo e il riconoscimento della “inevitabilità sociale” dello stereotipo. All’inizio della loro relazione, la stessa Petra è vittima di pregiudizi e stereotipi nel suo giudizio severo sul conformismo e moralismo di Garzón/Monte, gli stessi che non è disposta ad accettare relativamente alla sua vita, e gradualmente comincia a metterli in discussione. Nello stesso modo, sempre attraverso il confronto con Garzón/Monte, matura progressivamente la consapevolezza di non potere lei stessa sfuggire ai pregiudizi, e modifica il punto di vista sul suo vice. Nel romanzo, ad avvicinarli è l’accusa discriminatoria del padre dell’unica vittima di buona famiglia: “Una donna e un vecchio, questo è tutto quello che ha da offrire la polizia al cittadino?” (p. 122). Poco oltre, è la stessa Petra a riconoscersi amaramente negli stereotipi: “Eravamo ridicoli, incapaci, patetici: il grasso viceispettore e la quarantenne che rivendica i diritti delle donne. Un quadretto farsesco!” (p. 150).
Nell’adattamento la battuta viene leggermente modificata, e vengono eliminati sia lo slancio femminista che il riferimento alla stazza del viceispettore. Dopo aver insinuato che a lui non piaccia avere una donna come capo, a Monte che si giustifica spiegando che è la prima volta, Petra ribatte sarcastica: “Tanto un’archivista e un poliziotto ormai vicino alla pensione, non durerà molto”.
Per nostra fortuna, invece, la loro storia è durata fino a noi.
Le interviste citate nell’articolo sono state realizzate online da Valentina Re ed Elena D’Amelio tra il 30 novembre e il 10 dicembre 2020. La dichiarazione di Giménez Bartlett è stata tradotta da: Francisco Casavella et al. “Cómo escojo los lugares de mis novellas”, El Ciervo, vol. 50, n. 605/606, 2001, pp. 33-36.