16 ottobre 2024 – Università di Torino
Workshop “Il pranzo è servito. Cibo, televisione e media contemporanei: ricerche e prospettive”
Il primo romanzo della serie dedicata alle avventure investigative dell’ispettrice Petra Delicado (Riti di morte di Alicia Giménez Bartlett, 1996) si apre con il trasferimento della protagonista in una “casetta con giardino” nel quartiere di Poblenou a Barcellona. Piuttosto che di un capriccio, commenta Petra, si tratta di una “opportunità per cambiare”, per “toccare terra ferma” e “mettere radici”, “coltivare qualche pianta nel giardinetto di casa e mangiare più spesso una cena calda” dopo “troppi anni passati in appartamenti con mobili funzionali e un gran congelatore”. Dopo una descrizione sommaria della nuova cucina la protagonista aggiunge: “Lì sopra avrei preparato elaborati manicaretti, piatti che avrebbero fatto perdere la pazienza perfino alle nostre nonne, ollas podridas e stufati che avrebbero richiesto giorni interi di cottura a fuoco lento. Avrei detto addio […] ai pasti precotti, alla pizza telefonica, all’hot dog, al taco messicano e al chop-suey in vaschetta. Avrei smesso di andare a cena in trattoria col minimo pretesto”.
Avrei, appunto: il condizionale rimane nel romanzo espressione di un’intenzione che rimarrà tale, perché Petra, alle prese con il suo primo caso “sul campo” insieme al suo vice, il tempo per cucinare non lo troverà mai. Tuttavia, i riferimenti alla cucina nell’incipit del romanzo ci dicono moltissime cose in merito al ruolo culturale del cibo e al suo ruolo specifico nella caratterizzazione del personaggio. L’incipit ci parla del rapporto tra cultura gastronomica e identità culturale (i riferimenti al “mettere radici” e allo stufato tradizionale spagnolo) evidenziando al contempo come l’identità (gastronomica e culturale) sia sempre relazionale (i riferimenti ad altre tradizioni culinarie). Alla dimensione geografica della cultura gastronomica l’incipit associa anche quella storica e temporale, con i riferimenti alle rischiose comodità della vita moderna (il congelatore, i pasti precotti, la consegna a domicilio) contrapposti alla pazienza delle “nonne”, portatrici della tradizione. Il riferimento alle nonne introduce anche la dimensione di genere della cultura gastronomica, con l’ambivalente posizionamento delle identità maschili e femminili in relazione alle pratiche culinarie e alla divisione dei ruoli in famiglia, e tutto ciò che ne consegue in termini di definizione di modelli di mascolinità e femminilità tradizionali. In questo senso, il sottrarsi di Petra alle mansioni culinarie diventa significativo su tre diversi livelli: quello relativo al genere come modello prescrittivo di identità femminile, che la protagonista mette in discussione e sfida attraverso le sue scelte di vita, insofferente di convenzioni e stereotipi; quello relativo al rapporto tra ruoli di genere e genere poliziesco, che vede il protagonista delle indagini (storicamente maschio) costretto (non necessariamente suo malgrado) a trascurare la vita privata e familiare; quello relativo al rapporto tra ruoli di genere, genere poliziesco e il sottogenere del Noir Mediterraneo, dove l’introduzione di una protagonista femminile sembra richiedere uno scarto sostanziale rispetto alle passioni culinarie di un Montalbano, piuttosto che di un Pepe Carvalho o di un Kostas Charitos. Il contributo di Valentina Re si inserisce all’interno delle ricerche svolte in “Atlante del giallo” e intende sviluppare gli spunti proposti dall’incipit di Riti di morte sia in relazione all’adattamento televisivo italiano (Petra) che Sky realizza, dal 2020, dei romanzi di Alicia Giménez Bartlett, sia in relazione al più ampio panorama delle serie crime italiane che, soprattutto a partire dalle innovazioni introdotte da Non uccidere nel 2015, mettono una protagonista femminile al centro della storia.